venerdì 29 giugno 2012

Latte materno "bene comune"? Parliamone



E' stata lanciata una campagna importante: quella in difesa del latte materno dai contaminanti ambientali, che recenti studi hanno individuato a livelli sempre più pericolosi. Faccio parte di una delle associazioni che promuovono questa campagna, che trovo sacrosanta e di cui condivido obiettivi e strategie. Tuttavia non posso fare a meno di interrogarmi sulla frase di apertura del manifesto:

Il latte materno è un Bene Comune di inestimabile valore.

Convinta che il compito di un'associazione a sostengo dell'allattamento e delle madri in puerperio sia anche quello di affrontare il tema della maternità a 360 gradi, ho proposto alcune riflessioni all'interno della mia associazione, e le ripropongo qui nel blog.
Il latte materno è un bene per la salute del bambino e della madre di immenso valore, e indirettamente
certo, un "bene comune" perché la buona salute del singolo ha dirette conseguenze sociali. Però in questo senso non è più "bene comune" del pancreas o delle gambe o degli occhi della madre, o di qualsiasi individuo. Di cui ella o esso ha il diritto a veder tutelata la salute. Eppure nessuno di noi parlerebbe di gambe, o del sangue, come di un "bene comune" (seppure gli organi e il sangue si possono donare).

Quel che mi preoccupa è il fatto che in questa definizione si perda il concetto, fondamentale, che il latte appartiene alla madre e a nessun altro, che il latte appartiene al suo corpo. Non è banale scegliere le parole adatte, perché la ricaduta è sia etica, che legislativa, che politica. Questa riflessione mi pare essenziale perché tutto il tema della maternità e della sua tutela (che mi sta
profondamente a cuore) entra sempre più in conflitto, attualmente, con il tema dell'autodeterminazione della donna e della parità di genere.

Nel mondo anglosassone, come al solito, sono molto più avanti di noi (che per lo più litighiamo tra fazioni opposte ed estreme) ed esiste già da tempo una riflessione profonda e articolata portata avanti da madri femministe che si interrogano ogni giorno su come costruire una cultura condivisa della maternità (intesa come parte di una cultura della genitorialità) che vede con simpatia l'"alto contatto" (descritto come attachment parenting secondo le teorie di Sears) e che tenga conto, contemporaneamente e parallelamente, dei diritti delle donne, delle loro rivendicazioni e delle loro lotte, ancora oggi drammaticamente necessarie.

Per chi conosce l'inglese, invito a leggere questi tre articoli di una studiosa che ha un bellissimo blog. Uno nel quale difende l'importanza delle campagne a sostegno dell'allattamento
(http://bluemilk.wordpress.com/2011/10/20/a-word-about-breastfeeding-nazis/)
un altro nel quale propone l'importanza del femminismo nella riflessione pedagogica
(http://bluemilk.wordpress.com/2010/07/29/why-attachment-parenting-needs-feminism/)
e il terzo infine in cui fa il punto della polemica espolsa negli USA,
e pure da noi, sulla copertina del Time,
quella dove
una mamma allatta al seno un bimbo di 3-4 anni
(http://bluemilk.wordpress.com/2012/05/21/feminists-a-little-perspective-please/).

Ecco, iniziare a parlare in Italia di "terza via" (non ci piace, ricorda il fascismo e Giddens), middle way, maternità femminista, maternità pluralista - anche solo iniziare a farlo, mi sembrerebbe una prima tappa fondamentale. A cominciare dalla riflessione sulla definizione di latte materno come bene comune.